Concetto matematico: la musica dà i numeri
LA MUSICA DA' I NUMERI
Noi siamo abituati a pensare le note in termini di ottave.
La Fisica insegna che la frequenza di una nota da un'ottava all'altra raddoppia, per cui, per esempio, il la centrale si accorda a 440 Hz e quello dopo è 880 Hz.
Il punto è che noi parliamo di ottave, dando per scontato che le note siano 7, ma in realtà all'interno di un'ottava vi sono ben 12 semitoni, quindi dovremmo parlare di 12 note! Se non credete a me credete al pianoforte: sette tasti bianchi e cinque neri.
Certo, i puristi del 7 vi diranno che le altre 5 sono "alterazioni", salvo poi che diverse correnti musicali del Novecento hanno deciso di sbattersene del purismo e di ragionare a 12 note.
Stiamo dando i numeri? Ancora non abbastanza!
Sette sono le note per noi, ma in Oriente, dove Buddismo e Induismo considerano che l'Universo è costituito da 5 elementi fondamentali, lì le note sono cinque e si usa la scala pentatonica.
Che poi neanche qui siamo d'accordo sul sette... Voglio dire, a Pitagora piaceva il 4 e la sua musica si basava sul tetracordo.
Ma allora sto sette da dove è nato?
Colpa della Chiesa (e di chi se no?).
Intorno all'anno mille un monaco di Arezzo, Guido, decise di inventare una scrittura universale e creò così gli spartiti.
Siccome sette sono i giorni della Creazione (e l'ottavo è la risurrezione), sette dovevano essere anche le note e l'ottava sarebbe quindi stata quella che eleva a Dio.
Che poi, per chi ama questi giochi tra numeri e religlione, segnalo che nella Genesi per dire "sempre" si usa l'espressione "settanta volte sette" e la Bibbia è stata tradotta in greco dai settanta saggi... Roba che neanche Don Brown!
Ora a Guido piaceva il sette e sette dovevano essere le note... Poi siccome non voleva deludere Pitagora che si era impallinato con il 4, decise che gli spartiti dovevano avere 4 righi e inventò così il tetragramma.
Tutto bellissimo, ma ai monaci della più importante cattadrale del Medioevo, Notre-Dame, i quattro righi stavano sulle scatole. Questione pratica: alla cantoria non consegnavano spartiti (ogni pagina di pergamena costava un botto), e quindi i maestri del coro spiegavano le note con le dita delle mani. Tranne pochi rari fortunati, la maggior parte dei maestri avevano cinque dita e di farsene mozzare uno non ne avevano proprio voglia, così passarono ai cinque righi, il pentagramma, che conosciamo ancora adesso.
Torniamo alle sette note. Ben presto, con buona pace di Guido Monaco, i musicisti si accorsero che le cinque note mancanti erano un bel problema... Hai voglia a disprezzarle chiamandole "alterazioni", restavano un bel casino, anzi un bel "soqquadro" (è a causa dei musicisti rinascimentali se usiamo la doppia q)
Come risolvere il problema? Grazie ad un trucchetto matematico chiamato permutazione e perfezionato poi da Bach:
- chiami bemolle un semitono decrescente
- diesis un semitono crescente
- puoi avere solo o bemolli o diesis e da uno a sette.
- ogni accordo può essere in maggiore o minore a seconda che tra la prima e la seconda nota di accordo ci siano 4 o 3 semitoni.
Ed ecco che sono nate le 30 tonalità!
Ma c'è da osservare che:
Però la scala naturale è fatta di 7 note ed ha un suono armonioso, se uno prova a suonare la scale matematicamente più "esatta" DO-RE-MI-FA#-SOL#-LA#-DO
l'impressione acustica non è così armonica. Non penso sia solo perché 7 è il numero considerato perfetto.